Scuola in Cina

Dalla DAD all’OMO, un altro insegnamento è possibile

20 Giugno 2021 3 minuti di lettura

Il 15 marzo del 2020 dovevo partire per la Cina per iniziare il mio consueto semestre universitario. Insegno a Guangzhou da cinque anni, due corsi su etica e tecnologie emergenti con circa 45 studenti ognuno. Eravamo in piena pandemia e fino a due settimane prima non sapevo se l’università restava aperta, se dovevamo utilizzare una piattaforma online o se i corsi erano rimandati o addirittura cancellati. Conoscendo tutte le piattaforme a disposizione ero piuttosto tranquilla anche se non le avevo mai utilizzate per gestire due dozzine di persone in contemporanea. 

Insegnare in Cina è un’esperienza notevole perché In materia di istruzione gli studenti sono più audaci e determinati di quelli occidentali. Si impegnano, sono esigenti e scrupolosi. Sono preparati e ti rispettano, come insegna il loro maestro Confucio. 

In alcune scuole, gli allievi cominciano a imparare a memoria gli insegnamenti di Confucio fin da piccoli. “Tra i 2 e i 6 anni, la capacità di memorizzazione è eccellente. Noi piantiamo i semi della pietà filiale, del rispetto per gli insegnanti e della compassione”, ha detto il direttore di un asilo nel centro di Wuhan.nullPUBBLICITÀnullnull

Ma non solo tradizione, le scuole cinesi adottano con entusiasmo anche l’intelligenza artificiale, come tecnologie di riconoscimento facciale, sistemi che gestiscono la sicurezza all’interno dei campus e software che registrano le presenze degli studenti. 

D’altra parte gli sforzi della Cina per guidare l’IA inizia nella scuola. Nel febbraio 2019 nella città di Jinhua, nella provincia di Zhejiang, in una classe primaria entra un dispositivo per monitorare le onde cerebrali dei piccoli studenti: il brain scanner. Si utilizza al fine di migliorare la concentrazione e l’apprendimento degli alunni e di garantire gli insegnanti di identificare chi si distrae. Qualche mese dopo Supchina, una piattaforma americana di notizie incentrata sulla Cina pubblica l’immagine che ritrae i bambini in classe, seduti ai banchi, con il brain scanner ben visibile sulla fronte. La notizia suscita accese polemiche internazionali. Discutono genitori e professionisti dell’educazione, si impauriscono le famiglie, tanto che l’esperimento viene sospeso. 

A prescindere dell’immagine inquietante, è necessario riflettere su come stare al passo con la tecnologia esponenziale applicata all’educazione. E’ possibile riformulare un sistema educativo utilizzando la tecnologia e salvaguardando il rapporto tra gli studenti, le sinergie con i professori e i valori morali che si imparano con l’esperienza? Possiamo gestire la tecnologia senza farci gestire da essa?

Ho affrontato questa tematica con i miei allievi La figura dell’insegnante in carne ed ossa è determinante anche se il modello didattico tradizionale, sia in classe che virtuale, va completamente rivoluzionato. Le lezioni odierne “one size fits all”, una misura uguale per tutti, sono strutturate con poca o nessuna flessibilità e le piattaforme online sono sotto-utilizzate o spesso considerate solo come opportunità visive, come fornitrici di telecamera. Riusciremo ad integrare online e offline senza perdere i vantaggi dell’una o dell’altra soluzione?

Se si considera che l’educazione online è molto più che un sostituto dell’insegnamento in classe, il cambiamento deve essere radicale. E’ necessario un approccio sistemico e il modello O-M-O, Online-Merge-Offline cinese puo’ forse ispirare una riforma didattica vincente. 

Nei programmi O-M-O, i ruoli dell’insegnante (Chief Learning Facilitator) e dello studente (Active Learner) sono aggiornati e ridefiniti. L’insegnante deve conoscere profondamente la sua materia, deve avere una grande padronanza/conoscenza delle tecnologie d’insegnamento online e deve essere in grado di creare un’esperienza che sia stimolante, educativa e divertente. Lo studente deve essere dinamico, efficiente, disciplinato e deve saper sfruttare al meglio la ricchezza delle risorse a disposizione. Emerge anche una nuova figura, il Learning Facilitator, l’assistente, che ha un compito piu’ specifico di quello canonico dell’aiuto docente. Deve saper gestire piccoli gruppi di singoli studenti (non piu’ di sei) e controllare che siano sempre allineati e al corrente. Comporta un costo aggiuntivo ma questa figura garantisce il risultato finale. 

Nel prossimo futuro le classi, in particolare modo quelle universitarie, saranno orizzontali, differenziate e interdisciplinari. Come possiamo raggiungere gli studenti con lezioni che siano coinvolgenti, pratiche, scalabili ed eventualmente personalizzate? Ci aiuterà sicuramente l’intelligenza artificiale, che utilizzando algoritmi di machine learning, sarà in grado di valutare il progresso scolastico di ogni studente e in tempo reale, selezionare e compilare i contenuti multimediali più rilevanti e adeguati ai suoi interessi, alla sua preparazione, alla sua storia personale.

“Ci sforziamo di fornire ad ogni studente un Super Insegnante AI” afferma Squirrel AI, la società cinese più emergente nell’adaptive learning, l’insegnamento su misura. Il sistema sembra funzionare a meraviglia tuttavia il problema è che se non proteggiamo il ruolo dell’insegnante (umano) la tecnologia ci scalza anche in questo settore. Ben venga l’adaptive learning ma cerchiamo di —integrare, non di sostituire. 

Anche perché Confucio dice che: “Se pensi in termini di un anno, pianta un seme; se in termini di dieci anni, pianta alberi; se in termini di 100 anni, insegna alla gente”.
Vogliamo delegare l’educazione delle nuove generazioni ad un sistema, che il piu’ delle volte è ancora biased e pieno di pregiudizi?

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