Perché i governi in Italia cadono così facilmente?
Il grandissimo Giovanni Sartori spiegava che esistono due diversi tipi puri di democrazia.
(foto da Il Post)
Il più antico è il sistema presidenziale come quello nato alla fine del Settecento negli Stati Uniti d’America, che si basa sul dualismo tra Presidente e Parlamento. Ha il pregio di fare scegliere entrambi agli elettori e di essere molto chiaro. Se però Presidente e Parlamento bisticciano invece di collaborare il rischio è che il sistema si blocchi. In effetti, è un sistema che ha funzionato bene solo negli USA dove è nato, mentre ha funzionato malissimo in tutti i paesi (quasi tutti sudamericani) dove hanno provato a copiarlo.
Il secondo tipo è il sistema parlamentare puro, nato con la Costituzione del Belgio del 1831 e che si basa sul dualismo tra maggioranza ed opposizione. Quando funziona bene il capo del governo controlla sia il potere Esecutivo che quello Legislativo ed ha potenzialmente molto più spazio di manovra di un Presidente americano, anche se non sembra. Se però il Parlamento non riesce ad esprimere una maggioranza chiara, si rischia di finire nell’assemblearismo. Ossia una gran confusione politica in cui nessuno riesce ad esprimere una visione di lungo periodo.
Per questo sono nate due forme intermedie di democrazia, atte a mitigare i difetti delle due forme pure.
La prima è il rinforzo del capo del governo. Questo è nato spontaneamente in Gran Bretagna a causa di un sistema elettorale che riesce a dare quasi sempre (ma purtroppo non sempre) risultati così chiari da non lasciare troppo spazio decisionale al Parlamento. In Germania ne è nata una variante basata non sul sistema elettorale, ma su regole costituzionali che rinforzano il Cancelliere rispetto agli altri ministri e rispetto al Parlamento.
La seconda è il semi-presidenzialismo, nato in Francia negli anni Cinquanta del secolo scorso. In questo modello, le cose tendono a funzionare come in un sistema parlamentare quando dalle elezioni escono risultati chiari: il governo si forma in aula e il Presidente fa il mero arbitro. Nel caso che invece il Parlamento non riesca ad esprimere una maggioranza chiara, il sistema tende a funzionare come il sistema americano e il dualismo passa dall’essere maggioranza/opposizione ad essere governo del presidente/parlamento.
E in Italia? La nostra Costituzione disegna un sistema parlamentare puro, che ha funzionato bene nei primi anni grazie ad un sistema di partiti forte ed una classe politica forgiata nella lotta contro il fascismo. Ma con il tempo ha cominciato a funzionare sempre peggio e presto si è cominciato a pensare di modificarla in direzione di un cancellierato o di una repubblica semi-presidenziale. Ma da almeno quarant’anni non ci si riesce a mettere d’accordo.
Quando la situazione è particolarmente caotica, il nostro Presidente tende a smettere di fare il notaio e comincia ad avere un ruolo piuttosto attivo. Per questo in molti pensiamo che basterebbe eleggere direttamente il Presidente della Repubblica per dargli l’autorità di gestire le crisi con più efficacia. Non si tratterebbe che mettere nero su bianco quello che già accade con regolarità e spontaneamente almeno dai tempi di Sandro Pertini in poi.
Per un decennio una legge elettorale parzialmente maggioritaria (uscita da due referendum del 1991 e del 1993) fece funzionare il nostro sistema in maniera abbastanza simile al sistema inglese. Purtroppo furono anni avvelenati dalla diatriba tra berlusconiani ed antiberlusconiani, ma per i 12 anni in cui rimase in vigore la legge Mattarella noi sapevamo assieme agli esiti del voto anche chi sarebbe andato al governo il giorno dopo. Quelli furono gli anni di maggiore durata dei nostri governi.
I due falliti referendum voluti dal CDX nel 2006 e dal CSX nel 2016 erano entrambi un tentativo di reimpostare il nostro sistema verso un cancellierato di tipo tedesco. Quindi si basavano su regole che rinforzavano il Presidente del Consiglio abbinate però ad un sistema elettorale meno polarizzante. In entrambi i casi l’opposizione, dopo aver appoggiato il disegno, si sfilò e addirittura alla fine si oppose alla proposta. Cosa paradossale, vista la somiglianza tra i due progetti. Il risultato è che il sistema “simil-britannico” basato sul sistema elettorale venne cancellato, ma senza sostituirlo con il cancellierato. Quindi siamo ricaduti nell’assemblearismo che nel frattempo si è ulteriormente aggravato da una sempre maggiore frammentazione dei partiti. E anche, diciamolo, a causa di un crollo verticale della qualità del parlamentare medio.
Che fare? La strada più semplice sarebbe ripristinare la legge elettorale che tra l’altro porta il nome del nostro attuale Presidente della Repubblica. Alcuni propongono invece di adottare il sistema elettorale dei Comuni e delle Regioni, assegnando un premio di maggioranza alla coalizione vincente in un secondo turno. Anche quella potrebbe essere una soluzione. L’elezione diretta dal Capo dello Stato potrebbe essere un’altra possibilità, ma essendo una modifica costituzionale avrebbe un iter molto più lungo e complicato.
Staremo a vedere se il nuovo governo di unità nazionale sarà in grado di indirizzare il Parlamento verso una di queste riforme. Qualcosa bisognerà fare.