La mollezza del potere e la resa al caos
A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire, predicava Guglielmo di Occam, quello del rasoio. Eppure. Non sembra che alcun governante europeo se lo ricordi. Si interrogano, quando ne hanno voglia, su come uscire dall’angolo o inseguono la pancia degli arrabbiati, il più delle volte, senza capire che è inutile trovare un obiettivo contro cui prendersela invece di cercare di affrontare di petto la globalizzazione. In tre casi, in questi ultimi tempi, abbiamo assistito alla mollezza del potere, quello delle presunte élite, come dei nuovi sovranisti, che contro élite vorrebbero una rivoluzione. Persino nella democrazia più antica del mondo ci si sta arrendendo al caos. In Francia, in Gran Bretagna, in Italia, si innestano clamorose marce indietro in una situazione di caos.Se qualcuno si fosse preso la briga di leggere con attenzione il clamoroso manifesto in quaranta punti dei Gilet Gialli, scesi in piazza per un aumento della benzina di pochi centesimi e finiti per bloccare non solo Parigi, ma un intero paese, avrebbe capito che dietro c’è una mente molto raffinata. Nel documento, che la sinistra potrebbe tranquillamente trasformare in programma politico, si chiedono una serie di cose molto precise per ridurre le disuguaglianze che affliggono tutti i paesi occidentali: salario minimo di 15.000 euro, scala mobile, pensioni almeno a 1.300 euro, ripresa delle piccole opere pubbliche, utilizzo dei pedaggi per le manutenzioni stradali, riaperture delle piccole scuole e dei piccoli uffici postali, divieto di aprire grandi magazzini nelle zone rurali, web tax contro gli over the top. I Gilet Gialli hanno capito, più di chiunque altro abbia responsabilità di governo, che il pericolo oggi arriva dai grandi monopoli digitali che sono talmente transnazionali da permettersi di tenere parcheggiata in Europa una liquidità di 450 miliardi di euro. Una ricchezza fine a se stessa, nella maggioranza dei casi. E mentre Amazon, Apple, Facebook, lavorano per prendere il posto delle banche, delle officine e della logistica tutta, si pensa ai decimali di Maastricht. Emmanuel Macron, pur in calo di popolarità, resta un banchiere e ha capito che è molto meglio ritirare l’odiata tassa ecologica piuttosto che essere travolti da novelli sanculotti. E forse non basterà, perché restano da adempiere gli altri trentanove punti del manifesto rivoltoso.
La retromarcia francese fa il paio con quella che potrebbe apprestarsi a fare la Gran Bretagna. Oltremanica tardivamente hanno scoperto, grazie al Procuratore Generale, che l’accordo della premier Theresa May non solo è molto peggio di quello del suo predecessore David Cameron, ma trasformerà la Brexit in una gabbia da cui gli inglesi non riusciranno mai a liberarsi veramente, lasciando l’Irlanda del Nord nell’Ue e abbandonando invece il mercato unico. A Westminster si affilano i coltelli per mandare il gabinetto a casa ma intanto gli scozzesi si sono fatti dare un parere dalla Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo per cui, si sensi dell’articolo 50 del trattato, si può anche ritirare la notifica della sciagurata decisione di uscire dall’Ue e riportare le lancette indietro al 2016. Hanno sempre visto lungo da quelle parti, dai tempi delle vedove che sapevano dove ben investire. In questo caso, più che alla rabbia dei neo rivoluzionari francesi o dei brexiters più duri, ci si sta arrendendo al righello dei burocrati di Bruxelles, perché pare essere la soluzione alla fine migliore.
E anche il sovranismo nostrano ha innestato da qualche giorno una poderosa inversione a U. Il governo Conte, consapevole che in far di recessione insistere su una previsione di crescita impossibile nel 2019 avrebbe comportato mandare in aria tutti i conti pubblici e una stretta creditizia, ha deciso di lasciare fuori dalla manovra (per ora) sia il reddito di cittadinanza che la revisione della legge Fornero sulle pensioni. Tutti hanno sottolineato che sull’esecutivo gialloverde avrebbero prevalso la forza molle dei commissari europei, la tirannia dello spread, l’accigliato Moscovici e i moniti del preoccupato Draghi, quando invece anche Lega e Cinquestelle hanno capito che in Italia, paese ricchissimo con uno stato povero, più che il popolo comanda il risparmio, unico sovrano, insieme ai contribuenti. Forse anche per questo i gilet li hanno indossati gli imprenditori, non la classe media arrabbiata transalpina. Gli industriali sono proprio coloro che dovrebbero sapere che il nemico è alle porte e non si nasconde in un emendamento alla manovra, bensì arriva da settori che non presidiano. Un colosso manifatturiero partito dalla mela dei Beatles apre una modalità di pagamento universale, uno spedizioniere planetario si appresta a fare la banca, un social network vende notizie, pubblicità e identità. D’altronde Steve Jobs lo aveva predetto: banking is necessary, banks not. Siamo a quel punto.
Contro i veri attori della decrescita serve un’azione comune, senza fingere che i problemi siano altri, la Commissione, gli immigrati, Trump o Putin. E’ del tutto inutile innestare improvvise retromarce, perché denunciano la mancanza di una strategia. Il potere è sempre più debole e gli amministrati sempre più arrabbiati.